A cura di Corrado Tosetto, Servizio professionale di Riabilitazione – Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale. Partecipante al processo di scrittura collettiva, “Libro Azzurro per la riforma delle cure primarie in Italia. Applicare il modello della Primary Health Care”, Prima versione, settembre 2021, https://sites.google.com/view/il-libro-azzurro-della-phc

 

Un futuro complesso

I cambiamenti socio-economici, demografici e valoriali che stanno interessando le nostre comunità richiedono il ripensamento delle politiche assistenziali per le crescenti difficoltà di coloro che, direttamente o indirettamente, fronteggiano quotidianamente le molteplici responsabilità dell’essere caregiver dei propri familiari “non autosufficienti”.

Si sta verificando quella prospettiva annunciata più di venti anni fa, del progressivo aumento della popolazione anziana, di “grandi vecchi” caratterizzati dalla compresenza di più patologie a carattere cronico evolutivo e da condizioni di non autosufficienza.

Una prospettiva che da progressiva si è trasformata in vertiginosa.

All’importante aumento di anziani da assistere corrispondono importanti  elementi di criticità riguardanti la composizione delle famiglie, che da sempre se ne sono fatte carico.

Le strutture familiari sono dissolte dalla distanza abitativa, dalla riduzione dei componenti dei nuclei familiari, dall’allentamento dei rapporti parentali tra genitori e figli.

Il quadro si completa con la crisi di disponibilità economica delle famiglie, la contrazione delle risorse a disposizione dei sistemi istituzionali e la frammentazione degli interventi degli altri soggetti della comunità.

 L’innalzamento dell’età pensionabile e dell’occupazione femminile riduce la disponibilità della principale risorsa dell’assistenza informale, quasi sempre la donna, che oltre a lavorare e accudire casa e figli si impegna, frequentemente sguarnita di  adeguate competenze, nell’assistenza dei familiari fragili.

Insieme a lei ci domandiamo cosa le resta per la vita sociale e personale, quanto può reggere di fronte ad una situazione di complessa cronicità evolutiva?

Vent’anni fa, nel trattare una situazione comparabile, ma di minore impatto  rispetto all’attuale, alcuni autori rilevavano che tuttavia “la famiglia sembra mantenere il ruolo di intermediario tra l’anziano e la rete di parenti, amici e istituzioni, secondo linee relazionali, prevalentemente femminili, che si attivano nei momenti critici della vita dei suoi componenti.

Che significato può avere oggi questa osservazione?

La cura della riconoscenza

Se la prima considerazione evidente riguarda il complesso e oneroso carico assistenziale delle “famiglie che curano” i propri anziani, una seconda, più focalizzata sulla famiglia come insieme, riguarda le dinamiche relazionali e generazionali che le sono proprie.

Questa prospettiva riconosce i ruoli e i compiti dei singoli componenti nella dimensione delle transizioni familiari, ossia nei passaggi che coinvolgono più membri di differenti generazioni per il superamento di determinati eventi, come quelli tipici della condizione anziana (pensionamento, malattie, cronicità, morte).

In tali transizioni si assiste ad una rimessa in discussione dei rapporti, dei ruoli, delle regole di vita, delle attese dei suoi componenti; si tratta di significativi passaggi di consegne generazionali e assunzione di responsabilità nella cura del proprio familiare, come “cura della riconoscenza” che costituisce e mantiene il legame nella trasmissione generazionale.

Passaggi di consegne e processi di transizione che vengono accelerati o ritardati dagli eventi critici che si manifestano nella condizione anziana.

Considerando allora qui la metafora della famiglia come gruppo di compagni in viaggio verso lo sviluppo dei singoli componenti e del gruppo stesso.

Lo sviluppo personale può essere minacciato dalla improvvisa malattia di uno di essi e dal dovergli dedicare parte del proprio tempo ed energie quando la malattia, la non autosufficienza, assume i connotati della cronicità/evolutività.

Situazioni critiche che, tuttavia possono risultare anche l’occasione per quei passaggi di consegne e “cura della riconoscenza” dei figli verso i genitori, quindi momenti essenziali per il loro sviluppo personale.

Si parla allora di un “diritto di cura” che va valorizzato e sostenuto anche attraverso l’organizzazione dei servizi, non solo in funzione della persona da curare, ma anche di “chi cura o potrebbe essere disposto a farlo”.

Rimarcando la necessità che la “famiglia che cura”, chi se ne assume il carico, non sia abbandonato di fronte a una responsabilità che oggi può risultare insostenibile.

Quali sostegni per i caregiver? I servizi domiciliari.

Si comprende che la complessità della condizione sopra tratteggiata è l’esito di fenomeni intrecciatisi nel corso degli ultimi decenni.

Non si tratta cioè di una novità, ma di una “complessificazione” rispetto alle quale le politiche del welfare non sono riuscite ad agire proattivamente contenendo l’impatto su famiglie e società.

Inoltre non è stata d’aiuto la frammentazione delle diverse politiche, la carente integrazione tra esse che rende problematico per le persone fragili il vivere e morire a casa propria, soprattutto nel non facilitare chi le assiste: le politiche sociosanitarie,  delle infrastrutture, dell’istruzione, del lavoro, per la mobilità, per la maternità e per l’infanzia, …

Tra i principali strumenti di supporto per la cronicità e quindi per chi assiste i caregiver, ne consideriamo due: l’approccio capacitativo -l’empowerment- e l’insieme delle risorse comunitarie, entrambi materia del lavoro delle organizzazioni sociosanitarie per la domiciliarità.

Per domiciliarità intendiamo l’insieme dei servizi e risorse che consentono la permanenza a domicilio delle persone non autosufficienti al centro della quale si colloca l’assistenza domiciliare.

Adottando una concezione più attuale risulta opportuno parlare di “Sistema della domiciliarità (…) integrato, flessibile, partecipativo”, sostanziato da “una rete di supporti costituiti da servizi domiciliari, semiresidenzali, residenziali, ambulatoriali e di comunità … servizi pubblici e privati, del terzo e quarto settore e del volontariato non organizzato”.

In questo sistema a rete, per il permanere a casa della persona fragile, l’Assistenza Domiciliare consiste nell’integrazione di attività sanitarie e sociali che insistono sulla sua casa.

L’OMS in diversi documenti focalizza l’attenzione sulle risorse informali prima che su quelle formali dei servizi, sulla necessità di evitare che l’abitazione venga medicalizzata e di supportare la tenuta di chi presta l’assistenza.

Rimarca che la caratteristica fondamentale dell’assistenza domiciliare è quella di non essere svolta principalmente da soggetti delle organizzazioni istituzionali, ma da familiari, badanti, vicini, quando non dall’assistito stesso, ad esempio nella gestione di chi lo assiste.

La peculiarità dell’informalità dell’assistenza è confermata dal Report 2021 di Salutequità sul “Piano della cronicità per l’equità”: “il 98% delle persone con fragilità ricevono aiuto per le funzioni della vita quotidiana; un aiuto “sostenuto per lo più dalle famiglie, dai familiari direttamente (94%), e/o da badanti (21%) ma anche da conoscenti (14%); meno del 3% riferisce di ricevere aiuto a domicilio da operatori socio-sanitari delle ASL o del Comune”.

Un inciso: né nel Piano della cronicità (2016), né nel Report appena citato, né nel PNRR, pare esserci attenzione per l’impatto dell’assistere sulle condizioni di vita -sui diritti alla vita piena- di coloro che -lo ribadiamo- sono pressoché unici e soli protagonisti dell’assistenza. 

Con una necessaria semplificazione possiamo dire che agli operatori dei servizi domiciliari vengono generalmente richieste due tipologie di interventi: l’intervento tecnico di propria competenza, non delegabile all’assistito e al caregiver, e l’insieme di interventi per il loro empowerment.

In realtà anche l’empowerment viene declinato come una prestazione tecnica, indicata come educazione (sanitaria), ma che in realtà è da intendersi come “addestramento”. Termine quest’ultimo molto distante dal significato di “educazione”, ovvero di facilitazione al cambiamento.

L’empowerment, traducibile come “capacitazione”, abilitazione, “significa agire in partnership con singoli individui o gruppi, per permettere loro di promuovere e tutelare la propria salute, attraverso la mobilitazione di risorse umane e materiali”.

Si evidenzia “l’importante ruolo “catalizzatore” che gli operatori sanitari, e tutti gli altri che operano in questo ambito, svolgono negli interventi di promozione della salute, (…) garantendo l’accesso alle informazioni sulla salute, facilitando lo sviluppo di abilità e sostenendo l’accesso ai processi politici che elaborano le politiche pubbliche che riguardano la salute” [Dors: Il Glossario della promozione della salute OMS]. 

A livello dei servizi domiciliari la capacitazione, dovrebbe essere agita attraverso l’informazione dell’offerta delle risorse locali formali e informali, l’abilitazione a competenze tecniche personalizzate per l’autonomia gestionale dell’assistenza al proprio assistito, ma prioritariamente  come supporto relazionale per il fronteggiamento delle problematiche “personali”.

Vengono distinti l’empowerment degli individui e quello di comunità:

“Il primo si riferisce soprattutto alla capacità del singolo individuo di prendere decisioni e di assumere il controllo della propria vita. L’empowerment di comunità, invece, si riferisce agli individui che agiscono a livello collettivo per riuscire a influenzare e controllare maggiormente i determinanti di salute e la qualità della vita nella propria comunità” [Dors].

I servizi devono lavorare su entrambe le dimensioni, potenziando la persona anche nel partecipare alle risorse nella comunità, così come quest’ultima deve essere capacitata anche nel supportare i propri individui e -attraverso dinamiche di reciprocità- facilitarne la partecipazione come risorse.

La comunità oggi più che mai, “va rivitalizzata nel proprio protagonismo e aiutata a costruire/ricomporre reti e relazioni che consentano di superare la frammentazione esistente e di riappropriarsi del proprio ruolo di promozione e tutela della salute.

Le reti sociali naturali sono infatti il sostegno del singolo individuo o gruppo familiare per il fronteggiamento delle difficoltà che sopravvanzano le loro risorse.

L’integrazione per la gestione sostenibile dei bisogni singoli o di “popolazioni” di persone con la medesima condizione di salute a lungo termine, configura un network dinamico nel corrispondere alle esigenze mutevolmente emergenti dei propri membri”.

Un sistema che attraverso l’integrazione tra tutti i soggetti può garantire sicurezza e qualità delle proprie componenti per interventi efficaci e sostenibili nel tempo.

Gli operatori dei servizi domiciliari e la relazione d’aiuto

Riportando l’attenzione sulla fatica della famiglia che cura, non va dimenticato che quando uno dei componenti della famiglia necessita di costante e intensa assistenza, quando cioè uno dei membri di questo gruppo di viaggiatori è costretto a rallentare, anche i suoi compagni di viaggio rallentano, così che alcuni devono fermarsi e cambiare programma e mete dell’itinerario personale; nel caso del caregiver spesso sospendendo il percorso di sviluppo personale e familiare.

È esperienza dei servizi che coloro a cui è affidata l’assistenza, i caregiver familiari, e a pagamento sono spesso privi di specifiche competenze assistenziali e quasi sempre non a conoscenza delle opportunità offerte dai servizi sociosanitari formali e dalle risorse assistenziali informali.

Accanto alle problematiche della persona “malata” gli operatori si trovano di fronte anche quelle dei suoi familiari, in difficoltà nella gestione della situazione di malattia e non autosufficienza e delle attività della vita quotidiana (movimentazione, spostamenti, igiene, …).

Non è inoltre infrequente che anche il congiunto o i figli accudenti siano anziani, con problematiche funzionali e di salute.

Con l’improvviso decadimento della salute di chi assistono emergono le loro difficoltà, può prevalere un sentrsi abbandonati di fronte a responsabilità e impegni ingestibili, senza prospettive di miglioramento del familiare e quindi per la propria situazione.

In questo interminabile lavorio è difficile chiarire quali siano i propri bisogni, il non farsi sopraffare dal senso di colpa o dal senso del dovere e del sacrificio per i propri familiari. Risulta così più difficile essere in grado di identificare e trovare in sé e nell’ambiente le risorse adeguate al cambiamento della propria situazione.

Capita così che, nel timore di sentirsi giudicato per la propria inadeguatezza, manifesti ostilità verso le attività e gli accorgimenti proposti dagli operatori.

Come i servizi domiciliari possono facilitare i caregiver per il fronteggaimento delle difficoltà assistenziali? Connotando i propri interventi, a partire dal’effettuazione delle attività tecniche di propria competenza, con strategie e atteggiamenti propri della relazione di aiuto di carattere educativo; cioè non attraverso l’erogazione di una somma di prestazioni disgiunte.

I professionisti dei servizi domiciliari dovrebbero maturare la consapevolezza che i propri interventi, per essere eticamente efficaci non possono prescindere dal sostegno di tutti i componenti del sistema assistenziale.

Che la valutazione e programmazione dell’intervento proprio e del team, necessitano di considerare prioritariamente le dimensioni relazionali-educative, facilitanti il cambiamento della situazione di vita della persona in difficoltà.

È un approccio improntato all’empowerment, alla capacitazione della persona, ad abilitarla alla consapevole attivazione delle proprie risorse e potenzialità, al recupero dell’autostima, potendo così attingere anche alle risorse ambientali per impiegarle consapevolmente, efficacemente.

L’attività è di aiuto se agevola la partecipazione di entrambe le figure coinvolte, l’operatore e “l’utente”. L’unidirezionalità, l’induzione di passività, l’addestramento, rendono l’intervento inefficace nel medio-lungo termine.

Il successo dell’aiuto risiede nel cambiamento di entrambi i soggetti, altrimenti lo “specialista” ha lavorato su un ulteriore pezzo della catena di montaggio di una sterile fabbrica della sanità.

Accenniamo nuovamente alle competenze educative, relazionali, per considerare le criticità segnalate precedentemente.

Attraverso l’approccio comunicativo relazionale gli operatori dei servizi domiciliari, a loro volta abilitati dalla propria organizzazione, possono supportare il caregiver nella riconsiderazione del proprio malessere, nella percezione della propria efficacia, delle propria capacità di fronteggiamento, per influenzare gli eventi della propria vita.

Ovvero nel riconoscimento della forza del proprio impegno e della propria capacità di resistenza nella cura e assistenza a lungo termine, alle molteplici difficoltà affrontate.

Ancora, facilitando la ri-consapevolezza della valorialità a cui il proprio impegno di care fa riferimento, del valore etico che lo informa e quindi nella necessità di recuperare la propria vita per non soccombere alla fatica dell’aiuto.  

Nell’attività del servizio domiciliare ogni operatore (infermiere, OSS, riabilitatore, medico) può promuovere il comporsi di ambienti favorevoli alla salute, con microinterventi educativi di orientamento del caregiver verso il benessere, come autorealizzazione delle potenzialità e l’appagamento delle aspettative esercitate nel proprio ruolo familiare, lavorativo, assistenziale.

È attraverso il riconoscersi come esperto, valorizzando la propria esperienza, l’autoefficacia, che il caregiver è maggiormente significativo coprotagonista della progettazione del piano di cure e assistenza per il poprio familiare.

L’implementazione di queste attività è tanto più possibile se le cure primarie sono pianificate e realizzate insieme a un team interdisciplinare, ossia che lavora nella condivisione delle diverse discipline e fa parte di un’organizzazione motivata al lavoro d’aiuto. Un’organizzazione la cui mission non è il massimo profitto, ma il massimo benessere di assistiti, famiglie e operatori.

Quali sostegni per i caregiver? La partecipazione della comunità.

La tenuta di tutto questo non può prescindere dall’altra dimensione portante: la mobilizzazione della comunità: “Un processo di empowerment attraverso il quale individui, gruppi o organizzazioni della comunità pianificano, realizzano e valutano azioni che si basano sulla partecipazione e sulla sostenibilità, per migliorare la loro salute e per rispondere ad altri bisogni, agendo di propria iniziativa o attraverso azioni di advocacy per la salute realizzate da altri” [Dors].

Il riconoscimento e potenziamento del ruolo delle risorse comunitarie è determinante per la la sostenibilità, che non va intesa esclusivamente in termini economici, ma anche di effettiva tenuta nel tempo delle azioni attivate, soprattutto per condizioni croniche di salute o di disagio, che si prolungano per tempi molto lunghi, se non per tutta la vita della persona.

“La domiciliarità richiede la qualificazione e il rafforzamento dei legami affinché la partecipazione comunitaria risulti parte consistente nel piano di interventi promossi dal team dei sistemi sanitari congiuntamente con le risorse sociali e locali e comprende tutte le attività per sostenere le persone e famiglie in difficoltà (…),riducendo o ritardando l’ingresso in strutture degenziali/residenziali, prevenendo problemi secondari a condizioni di salute e sociali (povertà, isolamento, emarginazione, …).

Ne sono elementi strategici lo sviluppo delle relazioni, le reti sociali, la solidarietà e la cultura della responsabilità nella comunità locale, la promozione dell’inserimento lavorativo, dell’autosufficienza economica e abitativa delle persone fragili, il sostegno delle famiglie e delle persone che accudiscono soggetti non autosufficienti a domicilio per la conciliazione tra azioni di assistenza, impegni personali e di lavoro e l’affettività.

Conquestioni

I temi delle famiglie che curano, la condizione dell’essere caregiver, le attività supportive che dovrebbero essere consuetudine dell’agire dagli operatori dei servizi domiciliari, sono stati solo sfiorati.

Per questo più che delle conclusioni pare giusto proporre alcune questioni:

  • ci si impegna sulle famiglie e su chi assiste quando si rileva che la loro crisi comporta più ricoveri degli assistiti o la loro istituzionalizzazione; l’obiettivo è addestrarli ad eseguire l’assistenza correttamente affinché siano autonomi nell’assistenza e nella segnalazione precoce delle criticità. Quando verranno considerati per il loro bisogni, per il loro diritto al benessere e a una vita piena? 
  • quali sono i valori etici, gli atteggiamenti che caratterizzano le professioni d’aiuto per la fragilità? Sono prestazionabili? Sono praticabili da servizi privati la cui mission, a differenza di quelli pubblici, deve essere la massimizzazione dei profitti? L’etica dell’aiuto è subordinabile alla società di mercato? 
  • Quale impegno etico e quindi formativo, educativo, le organizzazioni sociosanitarie dei Servizi Sanitari Regionali sono disposte ad assumersi, a fronte del bisogno di benessere delle persone con condizioni di non autosufficienza, di chi le assiste, della comunità?

 

Per approfondire

Regione Piemonte – Dors Centro regionale di documentazione per la promozione della salute: Il Glossario OMS della promozione della salute

Il Glossario della Promozione della Salute dell’O.M.S. (1998): https://www.dors.it/page.php?idarticolo=444
Nuovi termini del Glossario della Promozione della Salute dell’O.M.S. (2006): https://www.dors.it/page.php?idarticolo=425
Edizione 2021 del Glossario OMS della promozione della salute: aggiornamento con nuovi termini: https://www.dors.it/page.php?idarticolo=3833

AA. VV. 2000, “L’assistenza dei familiari agli anziani disabili”, in Prospettive Sociali e Sanitarie, n° 10

Agnoletto AP, Catelani A, De Sarno C, Odasmini B, Pauletto S, Stenico P, Tosetto C 2017, Proposta di modello per l’accreditamento istituzionale dell’assistenza domiciliare sociosanitaria, Tesi Master UNIUD.

Sandel M 2012 “Quello che i soldi non possono comprare. I limiti morali del mercato”, Feltrinelli.

Tamanza G 2001, Anziani. Rappresentazioni e transizioni dell’ultima età della vita, Angeli, Milano.

Cittadinanzattiva Emilia Romagna, Articoli Caregiver:

Carta delle priorità: https://www.cittadinanzattiva-er.it/carta-delle-priorita-del-caregiver/

Caregiver: https://www.cittadinanzattiva-er.it/category/caregiver/

 

 

 

 

 


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