Mi chiamo Michele e per quattro anni sono stato il caregiver della donna che ho profondamente amato.
Non si diventa caregiver per scelta.
Ognuno di noi ne farebbe volentieri a meno, ma si sceglie consapevolmente di rimanere vicino alle persone importanti, per il tempo che ci è concesso.
Quando la mia compagna si è ammalata di SLA abbiamo deciso di continuare la nostra vita insieme.
Mentre lei perdeva piano piano ogni capacità di muoversi, parlare, nutrirsi, comunicare, io imparavo a gestire le carrozzine, la C-PAP, le terapie sempre più invasive.
Ho organizzato la nostra piccola casa in modo che fossero possibili i piccoli spostamenti in carrozzina, ho acquistato un mezzo che ci permettesse di andare alle visite.
Man mano che lei peggiorava, io imparavo a sostenerla di fronte alle nuove difficoltà, a capirne la voce sempre più flebile, gli sguardi.
Il personale sanitario mi ha insegnato praticamente tutto, perfino ad usare l’aspiratore.
Siamo riusciti a rispettare il suo desiderio di tenerla a casa fino agli ultimissimi giorni.
Non è stato assolutamente facile, complice il periodo della pandemia che ha dolorosamente annichilito il sistema sanitario, lasciandoci troppo spesso soli.
L’amore non lascia scelta e sceglierei questo percorso altre mille volte ma sarebbe bello se l’esperienza che ho acquisito potesse essere utile ad altre persone che stanno affrontando, oggi, i nostri stessi problemi.
Nessuno può lenire il dolore di una perdita ma aiutare a superare le difficoltà, la burocrazia, i mille problemi organizzativi, questo si, sarebbe davvero utile, soprattutto in presenza di malattie che limitano il tempo di sopravvivenza.
In questi casi, credetemi, quel tempo che ogni essere umano può permettersi di perdere, diventa incredibilmente prezioso.