di Walther Orsi

Per cercare di comprendere le disfunzioni di determinati servizi che la pandemia ha reso ancora più evidenti (dai servizi socio-sanitari alla scuola, dall’università all’orientamento professionale, dalle infrastrutture alla tutela dell’ambiente, dalla giustizia alla tutela dei diritti), ma anche per affrontare gli effetti perversi di una crescente delega ai professionisti e alle istituzioni, credo sia necessario scoprire il senso del crescente impegno dei cittadini nella tutela dei diritti, nella gestione diretta di servizi condivisi. Molteplici sono le esperienze che sono orientate in tal senso, attraverso un crescente coinvolgimento del volontariato, dell’associazionismo e delle buone pratiche sociali di cittadinanza attiva.

Pur avendo consapevolezza dei limiti di tali esperienze, spesso isolate e diffuse solo in determinati contesti sociali e territoriali, credo che esse svolgano importanti funzioni. Sono in grado infatti di individuare precocemente alcuni bisogni latenti, ridurre le barriere di accesso (fisiche, informative ed informatiche, burocratiche, culturali), fornire risposte personalizzate, in alternativa a servizi troppo standardizzati, integrare e migliorare la qualità dei servizi istituzionali, promuovere una maggiore equità delle prestazioni, ridare un’identità sociale a bisogni che il mercato trasforma in beni e servizi individuali.

Le buone pratiche sociali di cittadinanza attiva tendono anche  a sperimentare risposte a domande inevase che richiedono nuove attività imprenditoriali e di lavoro, nuove collaborazioni fra i cittadini, i professionisti, le organizzazioni ed i servizi competenti.

Alla luce di queste esperienze di servizi autogestiti dai cittadini, la via d’uscita non può essere quella di un ritiro della delega alle istituzioni, alle imprese e ai professionisti competenti. Semmai è necessario rielaborare e verificare continuamente questa delega, attraverso una nuova alleanza fra istituzioni, servizi, professionisti e cittadinanza attiva.

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