Maria Antonietta Sassani ci ha inviato questo articolo in occasione dell’8 marzo
Ancora una volta ci apprestiamo a celebrare l’8 marzo e sarà diverso dagli altri anni, senza manifestazioni pubbliche, cortei, convegni e ogni altra forma di aggregazione, vietata a causa dell’incombente emergenza sanitaria.
Questo, però, non significa l’annullamento di ogni iniziativa e dobbiamo comunque mantenere viva l’attenzione.
L’8 marzo è una festa?
Non sono mai riuscita a sentire l’8 marzo come una festa, ma ho sempre pensato che doveva essere una giornata di riflessione, un’occasione sia per ricordare le conquiste fatte con grande fatica per superare le discriminazioni di genere, sia per rinnovare energia e volontà di andare avanti, perché ancora tanto è il lavoro da fare.
E allora, quest’anno, riflessioni sul tema e intenti avranno uno spazio privato, ma conserveranno la stessa determinazione che le donne hanno sempre dimostrato.
Davvero non ci sono molti motivi per festeggiare.
Lo scorso 25 novembre abbiamo celebrato la giornata mondiale della lotta contro la violenza sulle donne e abbiamo dovuto prendere atto che la situazione peggiora sempre di più.
I dati della violenza
Gli ultimi dati diffusi dal Censis e dalla Polizia di Stato ci dicono che nel nostro paese ogni 15 minuti una donna subisce violenza, nel 2018 ne sono state uccise 142 e l’anno successivo non è stato da meno.
Il femminicidio è, nel mondo, la prima causa di morte violenta per le donne fra i 14 e i 60 anni e, in Italia, sono 7 milioni quelle che nella loro vita hanno subìto violenze.
I numeri, nella loro fredda oggettività, sono agghiaccianti, ma ancor più lo diventano se pensiamo che dietro alle statistiche ci sono altrettante storie, spesso sfociate in vere tragedie, ci sono crudeltà e soprusi, famiglie distrutte, sofferenze di ogni genere.
In questi ultimi tempi sono state emanate diverse norme penali, sia sostanziali sia processuali, improntate ad incrementare la repressione dei reati di genere e la tutela delle vittime.
La legge sul femminicidio, oltre a prevedere aggravanti per alcuni reati, per la prima volta introduce il concetto di omicidio di genere e si occupa dei diritti partecipativi delle vittime di violenza.
Codice Rosso
Ma ancor più incisiva, sotto vari aspetti, dovrebbe essere la recente legge nota come “codice rosso”, di cui vale la pena ricordare i punti più rilevanti:
per alcuni reati, l’avvio del procedimento penale è brevissimo (entro 3 giorni dall’iscrizione della notizia di reato la vittima deve essere ascoltata dal magistrato), vengono potenziate le misure cautelari e di prevenzione, si introducono quattro nuovi reati (la diffusione di immagini di contenuto esplicitamente sessuale senza consenso, la deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, la costrizione o induzione al matrimonio e la violazione di provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare o dai luoghi frequentati dalla vittima) e si inaspriscono molte sanzioni.
Sicuramente sono leggi che segnano passi in avanti nella lotta contro la violenza di genere, ma che presentano molte criticità.
L’applicazione del “codice rosso” si rivela difficoltosa, perché, non prevedendo alcuna priorità per i casi più urgenti o più gravi, molto probabilmente porterà all’ascolto delle vittime entro tre giorni, ma non abbrevierà i tempi del processo.
L’incremento di reati e sanzioni è più che giusto, ma non è sufficiente se non è accompagnato da misure di concreta e adeguata tutela delle vittime.
Il “codice rosso” è una legge a costo zero, e, quindi, senza stanziamenti di specifiche risorse, il che significa non poter attivare maggiori misure di sostegno e di prevenzione.
Si vuole incentivare la denuncia dei reati, ma le donne saranno indotte a farlo solo se si sentiranno protette, e questo richiede mezzi economici e competenze che non sembra siano stati previsti.
Si è voluto dare alla legge il nome di “codice rosso”, per indicare l’urgenza del provvedimento, che, temo, non sia così pressante, viste le criticità ed i limiti della fase attuativa, ed allora penso che, ancora una volta, la violenza sulle donne sia percepita sì come un problema, ma non prioritario.
Coloriamo le mimose di rosso
Certo che il rosso ha colorato sempre di più la protesta delle donne e anche le celebrazioni dell’8 marzo; penso alle troppe scarpette rosse che ricordano le donne uccise, alle panchine verniciate di rosso nelle piazze, agli striscioni con le scritte rosse dei cortei e forse è proprio questo colore quello che rappresenta meglio la situazione delle donne, perché è il colore della violenza, ma anche della rabbia, della forza e del coraggio.
E allora, se la simbologia ha un significato, forse dovremmo colorare di rosso almeno un rametto delle mimose che riceveremo l’8 marzo.
Maria Antonietta Sassani
In apertura: foto tratta da Pixabay.com – @Alexas_Fotos